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Con i Bro possiamo dirci tutto!
Ma ti è mai capitato di fermarti un attimo e dire “BRO, questa cosa che ho detto era maschilista”?. Tra di noi ci sono certe cose di cui non si parla. Una di queste? Ammettere che alcune cose che facciamo sono dannose. Nessuno vuole guardarsi allo specchio e dire: “BRO, sono maschilista”. Però, pensiamoci un attimo. Oggi sembra folle che non troppo tempo fa le donne non potevano lavorare, votare, guidare o aprire un conto in banca. Ora siamo tutti uguali, giusto? Ma siamo davvero sicuri di non esserci portati dietro qualche stereotipo di troppo, sia su di noi, che sulle donne?
Riconoscere questi retaggi non è facile, perché fanno parte della cultura in cui siamo cresciuti. Ci hanno insegnato fin da piccoli cosa vuol dire essere “uomini veri”. E anche se spesso non ci sentiamo a nostro agio con queste regole, non è facile liberarsene. Così ci adattiamo, ci mettiamo la maschera e facciamo finta di essere quelli che non piangono, quelli che approcciano ogni donna appena ne hanno l’occasione, quelli che devono “proteggere” la compagna, che devono essere sempre al top e avere successo.
Ma qui c’è il trucco: senza nemmeno rendercene conto, finiamo per diventare parte di un gruppo di “uomini veri” che non si fanno domande, non parlano tra loro e non mettono in discussione quello che ci hanno insegnato. E la cosa più assurda è che, guardandoci intorno, ci sono tanti altri che, come noi, sono pronti a buttare via queste aspettative che ci hanno appiccicato addosso. Allora, perché non iniziamo a farlo noi per primi?”
LINGUAGGIO
Perché è maschilista?
Pensiamo a una cosa semplice: per riferirci alle donne usiamo la stessa parola che usiamo per descrivere il loro organo genitale. Questo ci fa capire quanto il linguaggio che usiamo rifletta un pensiero sessista. Le parole che scegliamo sono piene di stereotipi, che magari usiamo come battute o come generalizzazioni: “le donne sono lunatiche” o “non sanno guidare.”
Sembra solo una battuta, roba da niente, no? Eppure il punto è che il linguaggio non è mai neutro. È il riflesso di una cultura che da sempre vede le donne come inferiori, come se non avessero lo stesso valore. E non solo il linguaggio ne è il sintomo, ma lo alimenta pure.
Pensiamoci un attimo: da ragazzi, le offese più dure che potevamo ricevere erano quelle che ci facevano sembrare “come una ragazza”, come dire “sei una femminuccia”. In questo modo, si trasmette l’idea che tutto ciò che ha a che fare con il femminile sia inferiore. E se continuiamo a ripeterlo, alla fine cominciamo a crederci davvero.
Il linguaggio che usiamo ha un impatto, anche quando non ce ne rendiamo conto. Cambiarlo non significa censurarsi, ma smettere di rinforzare, anche senza volerlo, un sistema che da secoli sminuisce le donne.
Da dove cominciare?
Fai il test del doppio standard: Prima di aprire bocca, chiediti: “Direi la stessa cosa a un uomo?” Se la risposta è no, allora probabilmente è il caso di pensarci due volte e cambiare registro.
Ascolta e osserva: Fai attenzione a come le donne reagiscono a certe parole o battute. li sembrano divertite, o piuttosto infastidite?
Cambia prospettiva: Immagina che sia una donna a dirti le stesse cose, con lo stesso tono. Ti sembrerebbe comunque un complimento o una battuta leggera? Se ti senti a disagio, allora probabilmente anche lei si sente così.
MOLESTIE O FLIRT FUORILUOGO
Perché è maschilista?
Immagina di camminare per strada, e improvvisamente uno sconosciuto si avvicina e inizia a farti commenti su quanto siano fighi i tuoi genitali. Magari ci mette pure le mani. Oppure, sei in una riunione di lavoro, stai parlando di un progetto e la tua boss ti interrompe per dirti che non riesce a concentrarsi perché la tua camicia attillata mostra troppo i tuoi bicipiti, e lo fa davanti a tutti.
Immagino ti sentiresti un po’ a disagio, giusto? Eppure, situazioni come queste capitano molto spesso alle donne, e troppo spesso vengono giustificate o minimizzate. Perché? Perché è normale commentare, toccare o infastidire una donna che non conosciamo?
Il problema è che ci hanno insegnato che noi “da uomini” dobbiamo sempre provarci, in ogni situazione. Dobbiamo far vedere che ci piace una donna, non possiamo perdere un’occasione. Ma è una mentalità che ci fa ridurre a macchiette, dove siamo tutti uguali, e che confonde una cosa che non dovrebbe essere confusa: flirtare e molestare.
Flirtare ha una regola base: il consenso. Significa che entrambi stanno al gioco, che si divertono e si sentono a proprio agio. La molestia, invece, è tutta un’altra cosa: è qualcosa che non è richiesto, che invade lo spazio dell’altro, che mette la persona a disagio o la fa sentire in pericolo. E no, non conta l’intenzione di chi lo fa, conta come lo vive chi lo subisce.
Le molestie le subiscono per lo più le donne, ed è semplice capire perché: è il frutto di un’educazione che ci ha insegnato che così deve andare, anche quando non ci viene naturale. Lo facciamo spesso per sentirci parte del gruppo, per non rischiare di essere giudicati dagli altri uomini che ci circondano, per far vedere che siamo come loro.
Da dove cominciare?
Prima di fare o dire qualcosa, fermiamoci un secondo e chiediamoci: “Sto invadendo il suo spazio? La sto mettendo a disagio?” A volte bastano due secondi di riflessione per capire che magari è meglio lasciar perdere.
Parliamone con le donne che conosciamo: chiediamo a madri, sorelle, amiche cosa provano quando qualcuno commenta il loro corpo senza che l’abbiano chiesto, o quando qualcuno le tocca senza permesso.
Rompiamo il silenzio: Se nessuno dice nulla, restiamo tutti imprigionati in un ruolo che non vogliamo davvero. Ma se uno inizia a cambiare, anche gli altri si sentiranno più liberi di farlo.
RELAZIONI E SQUILIBRIO Dl POTERE
Perché è maschilista?
Da sempre ci hanno insegnato che è nostro compito proteggere le donne. E nella stessa lezione ci hanno detto che la gelosia è amore, e che dobbiamo assicurarci che “la nostra donna” faccia quello che vogliamo noi. Il problema è che ci hanno insegnato che il “prendersi cura” è solo per le donne, mentre per noi è più che altro sinonimo di controllo. E così, se diciamo “Se la mia ragazza esce, devo sapere con chi e dove va”, non ce ne rendiamo nemmeno conto, ma stiamo già controllando.
Ma una relazione non è una proprietà. Nessuno ha il diritto di controllare l’altra persona. Eppure, sentiamo di dover giocare il ruolo del protettore, anche quando non ce n’è bisogno.
Poi c’è la divisione dei compiti. Le donne non sono le nostre collaboratrici domestiche. Eppure, spesso siamo ancora lì, aspettando che sia la nostra partner a dirci cosa fare, cosa comprare al supermercato. Non ci pensiamo nemmeno, e poi, quando arriviamo a casa, ci sembra più facile non pensarci affatto. Lo facciamo anche a livello emotivo: chi è che propone di andare in terapia? Chi cerca di risolvere i malumori? Chi ascolta davvero?
Non è un caso, è un’abitudine che viene da lontano. Alle donne è stato insegnato che devono prendersi cura di tutto, mentre a noi è stato detto che dobbiamo concentrarci sulla carriera e farci servire senza nemmeno accorgercene.
Da dove cominciare?
Chiediti se vivi la relazione come un luogo di condivisione o di controllo: Quando ti viene da dire “non voglio che la mia ragazza faccia X”, fermati un attimo. È davvero amore? L’amore non è controllo, è fiducia.
Fai caso a chi si occupa di cosa: Nella tua relazione, chi si occupa della casa, delle emozioni, delle responsabilità? Se il peso è sbilanciato, comincia a fare la tua parte senza aspettare che ti venga chiesto. Essere autonomi non è una cortesia, è il minimo.
Impara a gestire le tue emozioni senza delegarle: Inizia a prenderti la responsabilità del tuo stato d’animo, a parlarne apertamente e a non trattare le donne della tua vita come il tuo supporto emotivo personale.
RUOLI DI GENERE
Perché è maschilista?
“Le donne non devono giocare a calcio, è troppo aggressivo.” “Gli uomini non devono piangere, perché le emozioni sono roba da femmine.” “Le donne devono essere dolci e materne, gli uomini devono essere forti e ambiziosi.” Sono tutte regole che nessuno ti ha mai scritto, ma sono lì, dentro di noi, a condizionarci. E nemmeno ce ne accorgiamo.
Il problema è che questi ruoli di genere non sono una gabbia solo per le donne, lo sono anche per noi. Pensaci: quante volte hai rinunciato a fare qualcosa perché avevi paura che ti giudicassero? Quanti di noi non prendono congedo parentale, non si vestono come vorrebbero, non parlano dei propri sentimenti o non vanno in terapia, solo perché queste cose non sono “da uomini”?
Alla fine, ci ritroviamo in un mondo dove le donne devono lottare per essere prese sul serio e noi uomini ci sentiamo imprigionati in un ruolo che non ci permette di essere noi stessi. E la cosa assurda è che tutte queste regole non hanno un vero senso, sono solo costruzioni sociali che ripetiamo da sempre, senza sapere nemmeno perché.
I ruoli di genere sono una trappola per tutti. Romperli non vuol dire andare contro natura, ma smettere di seguirli solo perché “si è sempre fatto così”.
Da dove cominciare?
Metti in discussione i tuoi ruoli di genere: Quante volte hai giudicato qualcuno per fare qualcosa che pensavi fosse roba da donne”?
O hai pensato che qualcosa fosse “poco virile”. Prova a farti questa domanda e vedi cosa succede.
Osserva come parli e reagisci: ti capita di ridere o storcere il naso quando una donna fa qualcosa che consideri “troppo maschile” o un uomo fa qualcosa che ti sembra “troppo femminile”? Perché? La prossima volta, invece di reagire di istinto, fermati e chiediti se ha davvero senso.
Sostieni chi rompe gli schemi: Se vedi una ragazza che gioca a calcio, un uomo che decide di fare il papà a tempo pieno, o un amico che si apre sui suoi sentimenti, invece di giudicarli, sostienili.
CLUB DEGLI UOMINI
Perché è maschilista?
Ti è mai capitato di essere in un gruppo di amici e sentire qualcuno fare una battuta sessista su una ragazza, magari una collega o una tipa che ha incontrato in un locale? O di vedere un amico comportarsi in modo completamente fuori luogo con una ragazza e nessuno dire niente? Anzi, magari ci si fa anche una risata sopra? Ecco, questo è il famoso “club degli uomini”.
Non parlo di un’associazione segreta con tanto di tessera, ma di quel momento in cui, senza neanche accorgercene, ci copriamo le spalle tra di noi anche quando uno di noi sbaglia. E per giustificarlo diciamo cose come: “Non voleva davvero”, “Era solo un complimento”, “Lei sta esagerando”. Così facendo non solo minimizziamo il problema, ma mandiamo anche il messaggio che, se fai parte del gruppo, puoi fare quello che vuoi senza conseguenze.
Questa mentalità ce la portiamo dietro fin da piccoli: il gruppo viene prima di tutto. Se fai parte del branco, sei protetto e proteggi gli altri. Ma questa dinamica non vale solo per i casi estremi. Vale anche per le battute sessiste che facciamo tra di noi e che nessuno si sente di fermare. Vale per quando un amico tratta male la sua ragazza e noi facciamo finta di niente. Vale per quando qualcuno nel gruppo si sente a disagio per una conversazione, ma non dice nulla per non essere quello che “rovina l’atmosfera”.
Alla fine, il vero coraggio non è coprire un amico che sbaglia, ma essere quello che ha il coraggio di dire dentro al gruppo: “Questa cosa non mi sta bene.”
Da dove cominciare?
Concentrati su chi sei davvero, non su chi il ruppo vuole che tu sia: se fossi da solo, senza giudizio del gruppo, giustificheresti IO stesso certi comportamenti? Non lasciare che l’idea di “fare parte” ti faccia perdere te stesso.
Rompi il silenzio: Se un amico si comporta male, non voltarti dall’altra parte. Non devi urlargli contro o umiliarlo, ma nemmeno far finta di niente. Anche una frase come “Dai, lo sai che questa roba è fuori luogo” può fare la differenza.
Sostieni chi si oppone a certe dinamiche: Magari non ti senti sempre di essere quello che dice qualcosa, ma se qualcun altro lo fa, sostienilo. Se mostri che non è così, aiuti a cambiare l’atteggiamento del gruppo.